Enrico Vignati – 9 ottobre 2023
Questo bel romanzo, ambientato in un pianeta simile al nostro, ci porta realmente a qualcosa che al giorno d’oggi può sembrare fantascienza. La campagna italiana del dopoguerra e prima del grande boom industriale. Leggendo il vivere quotidiano di Onit e della gente di Aret, ciò che mi ha maggiormente colpito, avendo vissuto gli anni sessanta, e quindi a cavallo fra i due periodi in un paese della pianura lombarda, è quanto fosse simile lo scorrere delle giornate, quanto fossero uguali le dinamiche sia di paese che famigliari. La violenza sulle mogli e sui figli, argomenti che purtroppo sono di assoluta attualità, sono stati abilmente inseriti allo scopo di portare il lettore a una riflessione sul lavoro che è stato fatto e su quanto se ne debba ancora mettere in pratica.
Che dire poi del modo in cui vengono descritte le punizioni inflitte a scuola, definite di una feroce crudeltà, che ci riporta ai giorni nostri per capire che forse quanto intrapreso per correggere il tiro non sia stato recepito completamente e correttamente, se è vero che oggi sono gli insegnanti a doversi difendere dagli studenti. In Onit rivedo molti di quei ragazzi con genitori difficili, dove spesso era il padre ad assumere l’atteggiamento di Technet. Genitori a cui la vita non aveva dato il dono di potersi istruire ma mani forti per lavorare la terra, e che spesso rifugiandosi nell’alcol non facevano che peggiore la situazione. Ecco quindi che Onit diventa l’archetipo di tutti i figli che hanno vissuto questa esperienza famigliare, liberandosi una volta morta la madre verso una nuova vita.
La forma ed il linguaggio, a volte molto crudo, altro non sono che il forte legame che lo scrittore ha con la propria terra natale, un linguaggio diretto e privo di inutili fronzoli o giri di parole, dando così al romanzo quel senso di appartenenza alle proprie radici. Tutto ciò però senza togliere quella vena romantica che in alcuni passaggi porta alla commozione.
Un volo nel futuro fra le galassie che in realtà ci porta ad un vero e proprio tuffo nel passato, un passato molto ben descritto che dovrebbe farci riflettere prima di affermare che “si stava bene una volta”.
Amilcare Francesco Bozzo – Insegnante – Cosenza – 7 Gennaio 2023
Un romanzo storico umano di proustoniana fattura in cui l’animo e la coscienza di un uomo Antonio Pettinato rivive, con partecipazione e, allo stesso tempo, analisi fredda e ragionata, la propria “recherche”, la propria vita traslata in altro immaginifico pianeta, Aret, della costellazione di Andromeda. La copiosa carrellata di personaggi, gravidi di difetti, qualità, aberrazioni naturali o patologie antropologiche, presentato con dovizie di dati identificativi di molti abitanti di un paesino calabrese, NALISH (nome di fantasia). Essi ci sono presentati in modo molto variegato, saturi di avventure, caratteristiche socio-economiche, umane, sociopatiche, talvolta scurrili, presenti in un “natio borgo selvaggio “, quello dell’autore, che ne indica le molteplici attività lavorative rurali, commerciali, impiegatizie, quella agricola, la più cospicua, e la classe dominante aristocratica. L’autore, pone in evidenza, altresì, i vizi, le tragiche misantropie, il gravoso credo religioso e la rigida educazione di atavica memoria, in un contesto sociale fortemente chiuso, impermeabile a nuove visioni di vita. In un “insieme”, spiritualmente uggioso della visione esistenziale della vita umana destinata ad essere vissuta quale conseguenza di certe considerazioni ancestrali, Onit riesce a spezzare le proprie catene ed involarsi verso soluzioni, riflessioni, confessioni quasi ciclopiche, pervenendo a librarsi nel cielo della Libertà prendendo coscienza di essere UOMO LIBERO rompendo il silenzio di una educazione eretta, costruita e inficiata da modalità eccessivamente rigide, severe, punitive, da parte dei propri genitori, contadini, in cui la propria madre Technet, svolge un ruolo di madre-padrona, vittima, anch’essa, di una presenza severa e tirannica del padre, Rives. La mamma di Onit riesce, con i propri atteggiamenti globali, rigidi e determinati, a condizionare i rapporti con tutti i membri della famiglia, compresi quelli col marito, figura non molto rilevante e sincera nei rapporti familiari nonché appena citata nel romanzo ma soprattutto con Onit, anima pulsante, desideroso di catarsi personale e, dunque, riscatto interiore.
Una prosa felice, scorrevole, pienamente comprensibile, ne alimenta il gusto della lettura, condita, a volte, da espressioni dialettali, tipiche del borgo in cui il romanzo si snoda.
Marco Aquila – 2 Novembre 2022
Si tratta di una piacevole lettura, prodotta da un illustre compaesano Antonio Pettinato. Il racconto è uno spaccato della storia del nostro paese (o meglio di Nalish), non banale, vissuto. Mi è piaciuta molto l’idea di ambientare questo racconto in un pianeta gemello, o universo parallelo, alla Terra, perché sostanzialmente vengono descritte una serie di esperienze vissute, di fatti, persone, luoghi e comportamenti che fanno certamente parte del bagaglio personale di ognuno di noi. Non pochi sono gli episodi che mi sono sembrati familiari, ma anche i luoghi e le sensazioni vissute da Onit, perché sentite da piccolo quando ancora si ascoltavano i nonni raccontare i fatti della guerra e del dopoguerra “allu cantu du fuacu” o da papà, che bimbo in quegli anni ne è stato protagonista. La corsa dietro al postale ad esempio, la superstizione, gli “spirdi” che venivano avvistati ovunque, il lavoro nelle campagne, ma anche la brutalità dei sistemi educativi dell’epoca, sono tutti momenti di vita quotidiana che conosco attraverso il racconto di papà, nonno e nonna. Quindi questo libro, con i suoi nomi particolari, quasi arabeschi, con il suo linguaggio inventato e fluente, mi consente di planare tra la dimensione onirica del ricordo e non cadere sulla fredda razionalità della cronaca. Credo che ogni Sciglianese farebbe bene a leggere questo libro, specialmente per i miei coetanei che vivono fuori e che vogliono mantenere intatta la loro identità di origine.
Daniela Votano – Cardiochirurgo – Utrecth – Olanda – 24 Agosto 2022
“Il destino di Onit” offre uno spaccato della vita quotidiana in un piccolo paesino di campagna negli anni ’50, così lontano dalla realtà odierna che l’autore spesso tende a definire “Medioevo” e che si è divertito a proiettare nella costellazione di Andromeda mediante divertenti giochi di parole. Il libro fa assaporare tutti gli aspetti di questa società rurale, da quelli che tutti osanniamo quando ingenuamente pensiamo alla semplicità e alla purezza della vita di campagna, a quelli che più ci fanno rabbrividire, come la pubblica accettazione della violenza sui minori e del cosiddetto “delitto d’onore”, e che l’autore ricapitola sistematicamente nella parte finale del libro.
Lo stile, caratterizzato da un lato da una semplicità e scorrevolezza di gusto tutto anglosassone e dall’altro da una scientifica sistematicità, induce il lettore a “divorare” il manoscritto pagina dopo pagina e consente di immergersi completamente in questa antica dimensione e vivere tutte quelle esperienze che l’autore ha vissuto in prima persona e di cui conserva un ricordo molto vivido.
Un tema principale, nonchè filo conduttore di tutti i vari racconti contenuti nel libro, è il rapporto con la madre, che l’autore sviscera in alcuni dei suoi racconti e non ha paura di dissacrare completamente fino a parlare di vera e propria “liberazione” alla sua morte.
Infine è doveroso richiamare l’attenzione su un altro tema, uno dei preferiti e più sentiti dall’autore, che è quello dell’amore. Diversi episodi dai disparati sapori possono essere ritrovati nel testo, tra cui ad esempio quelli di un amore acerbo e immaturo vissuto dall’autore ragazzino, ma è il penultimo capitolo ad essere il vero e proprio inno all’amore in tutti i suoi aspetti, dove l’erotismo anche spintamente dettagliato non stona affatto nel contesto così sublime dell’amore puro e senza confini dei due protagonisti.
“Il destino di Onit” è un libro in cui identificarsi per chi gli anni ’50 li ha vissuti, ma al tempo stesso una ricchissima eredità per le generazioni successive, che così avranno la possibilità di immergersi in un mondo che non riuscirebbero neppure ad immaginare con una mente necessariamente condizionata dalla società odierna e dall’esplosiva evoluzione tecnologica degli ultimi 60 anni.
IL PROFUMO DEL TEMPO
Eugenio Maria Gallo – 2 Agosto 2022
“La morte corre incontro ai destini che non riescono a compiersi”, scriveva Marcel Proust, ed il romanzo di Antonio Pettinato, senz’altro, nella morte ha la propria chiave di volta. “Il destino di Onit”, infatti, inizia con il protagonista che si trova, insieme con la propria moglie Ates, accanto al letto di morte della propria madre Technet e si chiude con il trapasso di quest’ultima. “Technet spalancò la bocca e gli occhi – scrive A. Pettinato – qualche minuto dopo le fu legato un fazzoletto in cima alla testa, e, con un gesto di tenerezza, le furono abbassate le palpebre (…) tutto era finito, soprattutto la sua presenza ingombrante sul pianeta Aret!”.
Si coglie subito che il rapporto Technet-Onit non è stato proprio quello giusto. “Il rapporto che lei aveva avuto con suo padre, che a Onit, era parso, per certi versi, al limite del patologico, l’aveva poi riprodotto con la famiglia che aveva costituito. (…) aveva assunto col marito una posizione di dominio ma non mancavano manifestazioni di autentica venerazione. (…)
Più complesso il rapporto di Technet col figlio Onit. In effetti lei adorava suo figlio; tuttavia questo non le impediva di picchiarlo a sangue, quasi ogni sera al ritorno dalla campagna, dopo che alcune pettegole del borgo riferivano delle monellerie che Onit aveva commesso durante il pomeriggio”. La cosa lascia segni molto forti nella psiche del ragazzo. “Il ricordo, ancora vivo dopo molti anni, – scrive A. Pettinato – è quello di due genitori inferociti e di un bambino traumatizzato”. E non poteva essere diversamente! Il viaggio a ritroso di Onit, allora, non è solo un ritorno ai luoghi, ma è anche un viaggio nei meandri della propria psiche per trovare un senso al tutto.
E lo scrittore lo sa e scioglie, in questo romanzo interessante e proposto in una prosa fluida e piacevole, quel grumo che si porta dentro da tanto. In queste pagine, allora, la morte di Technet gioca una funzione essenziale, quasi catartica, per il destino di Onit. E proprio davanti alla madre moribonda che, infatti, inizia per lui un viaggio a ritroso che lo riporta a Nalish, il paese d’origine, e fa riemergere dai meandri della sua memoria momenti importanti della propria infanzia e della propria adolescenza. La finzione letteraria, che colloca Nalish in Aret, pianeta gemello della terra, nella costellazione di Andromeda, dà alle pagine del romanzo un senso di infinità che pone il piccolo borgo in una dimensione di universalità, in cui si specchia l’essenza stessa dell’umanità che lo popola e che si fa paradigma dell’uomo di ieri, di oggi, di sempre e d’ogni luogo, grande o piccolo che sia, con tutti i propri pregi e con tutti i propri difetti.
Lo scrittore, così, ritorna al proprio mondo di ieri e sembra far rivivere, in sé, il mito di Anteo. Questi, infatti, tornava alla terra, la propria madre Gea, per ritrovare, radicandosi, forza e vitalità. Anche Antonio Pettinato ritorna, con queste pagine, al proprio paese natale per ritrovarsi, attraverso le radici, e per sciogliere, quasi fosse un voto, il proprio destino. E, in questo viaggio nel passato, onde poter vivere meglio il futuro, Onit e lo scrittore ritornano a vivere la vita d’un tempo, la vita del borgo donde entrambi hanno imparato a guardare al mondo e alla vita e a conoscerli.
Così, nelle pagine di Antonio Pettinato, riprendono corpo le esperienze d’un tempo lontano, insieme con tutte le vicende, belle e brutte, liete e tristi, che hanno caratterizzato un’epoca e con le figure umane, che l’hanno abitata. E il profumo del tempo che riemerge, in tutta la propria essenza, nella misura d’una risonanza che scandisce il passo dell’esistenza presente, secondo il ritmo di quel tempo lontano. E sì, perché Onit nel ricordare e lo scrittore nello scrivere si lasciano prendere per fascinazione da quel mondo lontano e per fascinazione l’uno ricorda e l’altro narra. Nalish allora riemerge nella propria coralità umana e non solo nella dimensione fisica e, con Nalish, ritorna il cammino di crescita e di maturazione di Onit.
Ritornano i momenti e le vicende salienti della propria infanzia e della propria adolescenza dai giochi, agli scherzi; ritornano gli aspetti fondamentali della vita e dell’economia di quel borgo rurale; ritornano i negozi d’un tempo, le botteghe artigianali, le feste patronali, il culto dei defunti e le veglie funebri, dove le donne di casa e le vicine, quasi nel ricordo delle antiche prefiche, piangevano il caro estinto. Ritornano, per Onit, i momenti delle proprie scoperte personali dal primo bacio alle prime esperienze, al primo amore e a quel tardo pomeriggio con Jolanda nella casamatta. “Al fondo della casamatta i due ragazzi si trovarono al buio, ma non ci fu il benché minimo imbarazzo quando i loro due corpi si ritrovarono fortemente abbracciati (…). Stavano vivendo ciò che, senza poterselo dire a voce, avevano desiderato fin dal primo momento della propria conoscenza”.
E poi la realtà socio- antropologica di Ipul, le differenze sociali, le paure inculcate nei bambini col riferimento agli “spiriti” dei defunti; ed ancora la povertà del tempo, le differenze sociali, la scuola e le particolari punizioni, che non avevano alcunché di pedagogico e di cui anche Onit subì i gravi effetti; e, infine, il malocchio, le pratiche “magiche”, gli esorcismi, il Monacello, le megere, la fattucchiera. “Come il pianeta Aret – scrive A. Pettinato – è avvolto dall’atmosfera, così Ipul era avvolta da un alone di mistero e magia a cui venivano ricondotti tutti i fatti e i fenomeni che non trovavano spiegazione razionale”. Anche Onit vi si è imbattuto e, in un’occasione, addirittura viene condotto dalla madre nel borgo di Lertic, a casa della fattucchiera, che avrebbe dovuto liberarlo dal malocchio. Questa li “fece entrare nella stanza dove svolgeva le sue pratiche magiche e cominciò a toccare il ragazzo dalla testa ai piedi, recitando sommessamente delle frasi (…). Questa pratica durò circa cinque minuti alla fine dei quali (…) comunicò che Onit non era colpito dal malocchio né aveva malefici ma era semplicemente molto debole”.
Così andavano le cose in quegli anni e non solo ad Ipul o a Nalish! È tutto un mondo che riappare, insieme con i propri pregiudizi e con le proprie angosce, con le proprie attese e con i propri problemi, con la propria realtà socio- economica e con i propri ancestrali retaggi; ed Onit, accanto al letto della madre che sta per morire, ne avverte in toto il profumo come un alone che lo avvolge ancora come allora. Sì, il profumo del tempo ritorna prepotentemente in lui, come in chi scrive, in questo viaggio a ritroso e lo inebria e l’opprime nello stesso tempo, mentre Technet si appresta a chiudere gli occhi per sempre. “Questo non sapevo – diceva il sagrestano Martin Crusich nel romanzo La miglior vita di Fulvio Tomizza – che il mondo muore ad ogni morte d’uomo”. Ed è proprio così anche nel romanzo di Antonio Pettinato! Con la morte di Technet, infatti, se ne vanno tutti gli aspetti negativi d’un mondo e d’una vita e, per Onit, si avvia una specie di palingenesi.
A questo punto il suo destino potrà realizzarsi e lui, forse, potrà finalmente riconciliarsi con se stesso, con il proprio mondo e con i propri affetti.
CI SARA’ UN SEQUEL?
JOLANDA CRISTIANO a Jul 20, 2022
Aprire un libro è come aprire una porta per entrare in un altro mondo. Qualcosa di magico accade, nella mente e nell’anima.
Ho appena finito di leggere il libro scritto dal Prof. Antonio Pettinato e mi ha trasportato nel mondo di Onit in cui rivedo le storie raccontate da mia nonna, da mio padre… racconti e luoghi che mi riportano al passato, alle mie radici, a Scigliano.
Nel libro ho trovato semplicità e autenticità due valori che si vedono ben poco nel mondo odierno.
Complimenti anche per la scelta coraggiosa di avere inserito nel testo argomenti importanti e difficili, come la violenza sulle donne, sui bambini e animali, senza appesantire la lettura.
Chissà se Onit sta pensando ad un sequel…
IL DESTINO DI ONIT E ANCHE IL MIO
Santina Arena Sansalone a Jul 19, 2022
Che meraviglia di racconto dell’infanzia di Onit!
Antonio Pettinato ha saputo descrivere tutte le emozioni belle e non tanto belle che lui e tanti suoi coetanei abbiamo vissuto e subito nel borgo nel pianeta di Aret, nella costellazione di Andromeda.
Anch’io ero in questo borgo negli anni 50 e Antonio Pettinato è riuscito a fare rifiorire i miei ricordi dei fatti, dei luoghi e delle persone che avevo messo da parte ma mai seppellito.
La costellazione di Andromeda si trova molto più vicina di quanto pensiamo e noi ragazzi di quegli anni conosciamo ogni angolo di questo pianeta Aret e ricordiamo gli accaduti con dolore ma anche con nostalgia.
Molti di noi di quei Borghi abbiamo subito delle ingiustizie come Onit ma lui ha avuto il coraggio e il dono di saperlo raccontare.
CHE DIRE DI ONIT?
Albertina Mancuso a Jul 06, 2022
Il libro è fantastico, scorrevole nella lettura e molto diretto e realistico nel raccontare episodi e personaggi da sembrare di farne parte. Molti episodi divertenti, ma allo stesso tempo ho percepito tanta tristezza ed emozioni e non nascondo che qualche lacrimuccia è scesa sul mio volto. Mi sono immersa nell’animo di Onit, un bambino che è dovuto crescere in fretta prima del tempo e con un carico pesante da portare addosso per tanti anni. I genitori di quei tempi contavano e pretendevano molto dal figlio maschio e lo caricavano di tante responsabilità. Onit è stato un bambino molto sensibile, intelligente e consapevole da pretendere una vita migliore e fare cose grandi e c’è riuscito. Onit si è liberato dalle catene e ha assaporato la libertà ma sono convinta che nel profondo del suo cuore la sua mamma “ingombrante” la custodisce caramente. Perché ogni mamma è dentro ognuno di noi. Orgogliosa che uno Sciglianese ha fatto conoscere a livello nazionale il nostro paese.
Complimenti ancora.
ONIT: CHI È COSTUI?
Bruno Marino a May 23, 2022
Quando ho cominciato a leggere il libro di Antonio Pettinato e mi sono imbattuto nel discorso della “e” ho pensato che non avrei finito di leggerlo! Poi, però entrando nel merito dei fatti, delle situazioni e dei personaggi raccontati, mi sono lasciato “docilmente” e piacevolmente coinvolgere sia sul piano emotivo sia sul piano intellettuale in quanto il libro, prendendo spunto dalle vicende e dai personaggi narrati nonché dalle situazioni antropico – culturali descritte, induce nel lettore valutazioni esistenziali e riflessioni indubbiamente impegnative. Il “quadro” che alla fine ne viene fuori riveste un indubbio interesse sul piano antropologico e culturale. Sul piano della lettura ho dovuto ricredermi rispetto alle iniziali sensazioni perché il libro è scritto con stile sobrio, scorrevole e con periodi brevi e sintetici che ti fanno capire l’essenziale anche se con poche parole. Mi auguro che l’autore prosegua nella sua attività letteraria perché è davvero bello e piacevole leggerlo.
CI VORREBBERO PIU’ ONIT
Luigi Tenuta a May 23, 2022
Ho avuto il piacere di leggere questo libro di narrativa che ho trovato molto bello e scorrevole. mi è piaciuta molto l’ambientazione in una proiezione spazio/temporale con nomi di riferimento che bene si adattano all’insieme della storia.
La lettura è coinvolgente e genera, almeno a me ha generato, un riconoscersi nell’intera ambientazione con rievocazioni di situazioni e storie in gran parte vissute.
Sono certo di potere affermare che l’autore, con apparente semplicità, ha avuto la capacità di descrivere situazioni e luoghi lontani nell’immaginazione generale ma vicini nell’immaginario personale.
Consiglio la lettura del testo a tutti ed in particolare a chi in questa narrazione si può riconoscere e può riconoscerne i tratti ambientali.
BRAVISSIMO ONIT
Giuseppe Costanzo a May 22, 2022
È un libro bellissimo e mi è piaciuto molto sia dal punto di vista formale che contenutistico.
Da leggere!
BRAVO ONIT
Antonino Vizzari a May 21, 2022
Per prima cosa intendo rilevare che, leggendo il libro di Pettinato, pur risiedendo in luogo diverso da quello descritto dall’autore e nel quale avvengono le vicende narrate, mi sono “identificato in molte situazioni, fatti, esperienze narrate nel libro che ho letto con piacere e tutto d’un fiato data la sua scorrevolezza. Il libro è costituito da una serie di racconti non slegati tra loro ma riconducibili ad un unico contesto antropologico e culturale. I personaggi, di tipo tragicomico, evocano alcuni personaggi felliniani o descritti nella letteratura siciliana e calabrese da Pirandello, Verga o Alvaro e l’autore mostra nei loro riguardi sempre rispetto e, a volte, tenerezza. Ringrazio l’autore per avermi fatto rivivere, con gioia, momenti e situazioni della mia infanzia e della mia fanciullezza.
EVVIVA ONIT
Damiano D’Angelo a May 12, 2022
Alla fine della piacevole lettura del libro di Antonio Pettinato,che può essere inserito nella vasta problematica dell’Antropologia Culturale,la prima considerazione che mi è venuta da fare è che avevo letto un bel libro,scritto bene,con un periodare leggero e scorrevole.Ho anche pensato che alcune parti del libro potrebbero indurre i lettori più giovani a pensare che i ragazzi di allora vivessero allo stato brado e selvaggio in considerazione del complessivo stato di benessere odierno frutto dei sacrifici e delle privazioni proprio delle generazioni del dopoguerra.Per questo tipo di lettori e per le giovani generazioni la testimonianza di Pettinato dovrebbe costituire motivo di apprendimento.Per questo vedrei benissimo l’adozione del libro nei vari corsi di Antropologia Culturale della Università italiane. Al contrario un sessanta/settantenne può riscoprire la realtà e la memoria del passato che dà forza all’esigenza e alla necessità del “non dimenticare”. Mi sono identificato in Onit e in molte delle esperienze da lui raccontate soprattutto nelle problematiche amorose e sessuali opportunamente raggruppate in un unico capitolo dove,in un crescendo rossiniano,l’autore raggiunge il massimo nel racconto “L’orto del peccato” per quanto concerne la delicata problematica dell’amore,dell’erotismo e della felicità tra due esseri umani di sesso diverso.Mentre leggevo il libro sono stato trascinato in un profondo stato emotivo che immagino,avrà vissuto l’autore mentre lo scriveva.
IL DESTINO DI ANDROMEDA
Alberto Battagia a Apr 25, 2022
Technet, Aret, Andromeda….Ti aspetteresti un’astronave argentata che si invola in un turbinio di luci blu; o l’apparizione di un cyborg sbucato dall’improvviso schiudersi di una finestra spazio temporale: invece no. Onit non viene dalle stelle, né si compone di fluorescenze digitali. È un bambino di quelli di una volta, con le ginocchia sbucciate, i pantoloncini corti corti, il cuore che impazzisce sbirciando l’incavo della scollatura della zia; che inorridisce davanti alla ferocia degli adulti, che si interroga, in una terra martoriata dal sole e dalle passioni, su cosa sia l’amore e la morte, l’onore e la misericordia. Con passaggi intensi, scavati sulla pagina come gli aratri di quei contadini nella terra brulla, Pettinato si destreggia con maestria in una serie di racconti – protagonista il piccolo Onit – che richiamano certi brani dei celebri scrittori meridionalisti, pieni di umori, di sensazioni forti ed improvvise, di un approccio al mondo epidermico, quasi biologico. E’ una campagna che nella sua staticità, nella sua durezza secolare, immutabile, tra olivi e fichi d’India, disegna una realtà estrema: e per questo le figure che la popolano – i padri, le mogli, i sacerdoti, le guardie – sembrano definire una volta per tutte cosa sia la natura umana, colta nella sua essenzialità. Certo, i sensi di un bambino fanno pulsare la superficie delle cose: siano esse il postale azzurro, che arranca sul colle lacerando l’aria ad ogni tornante col clacson e facendo scricchiolare le assi del ponte; sia – un altro miracolo – il mulino mosso dalle acque piene di anguille… Poi le istituzioni, come la scuola, conforme ad una concezione biblica della educazione, fatta di frustate sulle mani lenite poi dal niluc, l’erba magica sanadolori… Non si scherzava sulle gerarchie, nel paesino di Apuc: quattro femmine, tre maschi più la moglie Pesiriam, la famiglia di Rives. La propria donna? Fattrice e strumento per la gestione delle faccende domestiche. Semplice e chiaro. Cosa c’è da aggiungere? Beh, serviva anche come “mezzo di trasporto”, assieme agli asini e ai muli, con le loro grandi ceste piene di alimenti o le fascine portate sulla testa. Quando Onit si traferisce a Ipul, ha sette anni, e lì fa un’altra esperienza, scopre la socialità della piazza: meglio, dell’agorà. Di ritorno dai campi, all’imbrunire, l’appuntamento è sui muretti, gli uomini a parlare di emigrazione e siccità; i ragazzi a giocare a La Bandiera. E poi la parrocchia, un feudo, in realtà, proprietaria di centinaia di campi e vera teocrazia locale; e per i contadini che li lavoravano il cacaturo, vicino alla baracca del maiale…No, non era facile e gioiosa la vita nelle campagne di Ipul. Eppure qualcosa veniva, dalle città del Nord: il televisore, attorno al quale si riuniva nelle poche famiglie fortunate mezzo paese; convivendo, la mattina dopo, col rito ancestrale dell’uccisione del maiale, una sorta di melodramma mediterraneo. E divertimento mai? Sì,ma a patto di possedere un giradischi e di potere così sfiorare il corpo delle ragazze grazie al ballo della mattonella. Perché poi, in questo campo, ci si arrangiava un pochetto, per esempio con la masturbazione collettiva all’aperto: che pacchia! Poi fu Jolanda e…. Ma non voglio togliervi il piacere di scoprire da soli che accadde. La penna di Antonio si intrufola dovunque spedita, tra le case e le pietre, i castagni e le gonne delle ragazze: il consiglio è di rincorrerla da soli: non vi deluderà!
E’ uno sguardo nostalgico quello che Pettinato rivolge al piccolo Onit, ad Aret, ad Ipul? Forse no; o, almeno, forse no, dopo, quando ha iniziato a guardare a quel mondo, e a se stesso dentro quel mondo, avendolo lasciato, distanziandolo con la sua vita successiva. Ma quanto è difficile lasciare ciò che si è stati.
Verona, 26 maggio 2022
Alberto Battaggia
giornalista, blogger, presidente de “La città che sale”
IL ROMANZO DI ONIT
Fiorenza Negri a Mar 28, 2022
Ho preso “Il destino di Onit” nelle mie mani il pomeriggio del 16 febbraio e a sera, impaziente, ho sfogliato le pagine, osservato i capitoli, letto “in sorvolo “fino a pagina 15. Giovedì 17 ho ripreso in mano il libro e ricominciato a leggere rivedendo anche le pagine già viste. Ho concluso sabato pomeriggio la lettura. Di mattina mi ero emozionata per Guitad e Cenar e avevo fermato il leggere prima dell’accadimento fatale perché, restassero più a lungo i momenti d’amore dei due amanti. All’inizio ero un po’ impacciata ma seguendo il consiglio dell’autore di prestare più attenzione alle vicende che ai nomi, mi sono trovata a scoprire situazioni ,microstorie che portavano in luce, avvenimenti simili a quelli di ogni piccolo borgo italiano degli anni ‘50. Per quel che riguarda la mia esperienza appena sfiorati ma comunque patrimonio di racconti degli anziani e in qualche modo “vissuti“ e ritrovati nelle esperienze di Onit e gli altri personaggi del suo mondo. Il libro mi è piaciuto. Ho apprezzato la scrittura che raggiunge il culmine nel settimo capitolo (“Problematiche amorose e sessuali”/ l’orto del “peccato” )Posso dire che l’autore ha saputo ben tradurre ciò che esisteva dentro di lui. Grazie.
BRAVO ONIT!
Rolando Aragona a Mar 20, 2022
Finito di leggere il libro mi complimento sinceramente con l’autore per l’opera che riproduce situazioni e personaggi con un forte tasso di realismo. Ben delineato e, a volte, “crudamente” descritto il rapporto tra Onit e sua madre Tecnhet; altrettanto dicasi per quanto riguarda il Racconto “L’orto del peccato” nel quale l’autore, con dovizia di particolari a forte tasso erotico ma anche con sentimento, affettività e progetti di vita tra i due amanti, delinea quella che è la sua concezione dell’amore e del “fare l’amore” base dell’autentica felicità tra gli esseri umani di sesso diverso. Tutti i personaggi, soprattutto quelli “problematici”, sono raccontati e descritti con discrezione, tenerezza e compassione ma mai con derisione. La lettura è filata liscia senza mai appesantire e annoiare, anzi al contrario.
IL “PERCORSO” DI ONIT
Fernanda Petrisano a Mar 16, 2022
Onit ripercorre, in un sapiente alternarsi di distacco e di profonda partecipazione emotiva, il duro percorso formativo legato alla difficile fase adolescenziale. Il tutto si svolge nella seconda metà del secolo scorso, in un isolato borgo montano non sfiorato dal boom economico, con i tanti aspetti positivi e negativi. Apprezzabile il valore di documento storico sociale di un ambiente fatto di miseria e di privazioni, dove però emergono il rigore morale e la ricchezza dei rapporti umani. Importante il ruolo formativo e sociale dei luoghi descritti nei particolari, dei mestieri, delle funzioni civili e religiose. Fra le persone spiccano le figure del maestro e della madre. Il romanzo si legge d’ un fiato per la bellezza delle descrizioni e per il linguaggio scorrevole. Mi auguro lo leggano anche i giovani per poter apprezzare tutto il superfluo di cui siamo circondati.
IL RISCATTO DI ONIT
Alba Carbone a Mar 12, 2022
Nalish,Ipul,Aret,Sticos,Onit,Technet sono frutto della fantasia narrativa dell’autore.Le vicende descritte nel romanzo sono state tutte ambientate in un pianeta lontanissimo.Così ci si aspetterebbe una serie di episodi inverosimili.Ma ecco lo stupore che sorprende il lettore perché le azioni corrispondono a quelle canoniche del nostro pianeta.infatti, sul pianeta Aret, nella costellazione di Andromeda,non manca quasi nulla rispetto a quello che c’è sulla Terra negli anni ’50 del secolo scorso.Con la narrazione Pettinato ci vuole dire che la vita su questa terra,è così varia che si può ipotizzare anche su un’ altra dimensione o che non è difficile immaginare una Città del Sole.Aret, per Antonio Pettinato, così come il Sole per Campanella, diventa la metafora intorno alla quale s’impernia la concezione di questa vita.Cosi’ lo scrittore, intesse una vicenda, attingendo all’archivio della propria memoria.Ci troviamo, quindi, dinanzi a un romanzo che è un vero canto di poesia elegiaca.Attraverso la narrazione di fatti e persone, Pettinato propone ai suoi lettori una seria riflessione sulle microstorie che formano la grande storia.I vari racconti sono descritti sempre secondo una chiave interpretativa culturale ed umana, scevra da tensioni intellettuali ed ideologiche dell’ io narrante.Il libro risulta interessante anche sotto il profilo stilistico, infatti presenta una scrittura lineare ed elegante.Secondo me è un libro all’altezza di “Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro.
C’È SEMPRE BUIO A MEZZOGIORNO…
Giorgio Neri a Mar 11, 2022
Il Sud è sempre sud, dappertutto. Anche nel mondo speculare immaginato e raccontato da Antonio Pettinato nel romanzo “Il destino di Onit – Nella costellazione di Andromeda”.
Un mondo parallelo, lontano dalla Terra, dove uomini, popoli, storie e vicende rispecchiano fedelmente il duro e inesorabile destino del nostro Sud.
Luoghi che potrebbero essere quelli di un qualsiasi borgo della Calabria. Luoghi e personaggi dai nomi strani, di un popolo che con il pianeta Terra non centra nulla. Non c’è nulla di sconosciuto su Aret. Su quel pianeta, paradossalmente, Antonio Pettinato, mostra di sentirsi a casa. È un posto che conosce bene, lo ha già vissuto. Racconta, descrive, entra nei particolari, aggiungendo variabili di fantasia. Ci dona ‘cartoline’ di un antico, remoto, humus ancestrale di cui, noi meridionali, e calabresi, siamo permeati. Non è una storia di fantascienza. Non racconta di astronavi, di missioni planetarie, di realtà virtuale e invenzioni moderne. No, niente di tutto questo. Su Aret c’è quella Calabria che si vive come sulla Terra, anzi, per meglio dire, come nella nostra Calabria più remota, dove la vita, l’attività degli uomini, è scandita dai giorni e dallo scorrere delle stagioni. È il racconto, o meglio la descrizione di un vivere antico, ormai quasi perduto, ma, immaginiamo, ancora attuale nel cuore dell’autore.
EMOZIONI DI UN BAMBINO IN UN BORGO DEGLI ANNI ’50
Piero Petrisano a Feb 27, 2022
Definire quest’opera un romanzo appare riduttivo e poco aderente alla trama che è costruita sul racconto di episodi e scene di vita vissuta da un bambino, poi adolescente, in un piccolo borgo in cui il ritmo e le abitudini della vita stessa vengono scandite dalla natura e dalla cultura del mondo contadino.
Il contesto è da pieno medio-evo, con le classi sociali patrizie e ecclesiastiche a dominare su tutti le altre. Per gran parte dei paesani, è una vita povera, dura, cruda, quasi selvaggia, vissuta in un ambiente ristretto e promiscuo nel quale già da bambini si vivono esperienze di vita forti, da adulti, che lasciano segni psicologici spesso indelebili.
ONIT rivive la sua vita da bambino. Non si ripara dietro ad allusioni quando parla delle sue prime esperienze erotiche e sessuali, ne parla invece con grande naturalezza e spontaneità.
La medesima magia riesce allo scrittore quando descrive i personaggi, il borgo e i paesaggi collinari e rurali in cui si svolge la propria vita. Quando descrive tutto ciò è tanto efficace, a tratti letteralmente struggente, da far immergere il lettore nella scena, talmente tanto che sembra di avere davanti quel personaggio e quella scena!
Risalta imperiosa la figura della madre di ONIT, con la quale egli vive un complesso e viscerale rapporto di amore/odio. Ella ha avuto su ONIT una fortissima influenza. La madre è stata al centro della sua vita; una roccia.
Un libro coinvolgente e appassionante.
LA LIBERTA’ DI ONIT
SAVERIO ASTORINO a Feb 25, 2022
Antonio Pettinato con Il Destino di Onit,un romanzo di formazione con tratti di saggio antropologico,dà prova di una solidità narrativa e di un’interessante vis retorica,funzionali all’utilizzo di vari artifici:l’invenzione, la trasposizione, il narratore esterno;l’occultamento del sé autoriale;i fili narrativi;la cornice; il climax e l’epilogo. La trama, che si regge su due pilastri, il vero (esperienza diretta) ed il relativismo (ideologie, a cui il lettore può sentirsi non conforme), si dipana fino a determinare una chiara centralità concettuale: la feroce condanna della vita contadina di una settantina di anni fa nel borgo siderale di Ipul. I comportamenti ipuliani descritti sono riconducibili ad un qualsiasi borgo pre-industriale dell’Europa agreste e rusticana. Vi è la storia di un uomo, nato in quel luogo, dove la violenza aleggia dietro l’apparente normalità, dove le vicende si intrecciano secondo schemi arcaici, in una sorta di fissità medievale. Da quel mondo, Onit, vuole emendarsi, ma per riuscirvi deve risolvere il conflitto polare della sua vita: distruggere il legame viscerale, edipico, che lo lega alla madre, Technet. Il personaggio si mette a nudo e comprende che anche l’altra parte del conflitto ha delle coerenti motivazioni. Lo scioglimento è dato dalla certezza di Onit, che, libero ed edotto, si muove alla luce del faro illuminista nel suo intelligibile pianeta, mentre il lettore rimane invischiato nelle sue terrene opinioni.
Saverio Astorino.
GRAZIE ONIT!
Maria Vozza a Feb 23, 2022
Un libro avvincente dalla prima all’ultima pagina, un’emozione indescrivibile per chi ritrova persone,luoghi e fatti conosciuti. Una lettura piacevole e affascinante che attraverso l’analisi attenta di una realtà vissuta e supportata da un’apparente dose di fantasia, trascina il lettore in un percorso esistenziale che nella sua complessità viene magistralmente raccontato con un linguaggio semplice e garbato. L’autore,con sagace maestria,apre lo scenario sui primi anni del suo vissuto a cui fanno da cornice fatti,luoghi e personaggi di un tempo ritenuto sotto certi aspetti OSCURO: gli anni 50.
Il filo conduttore si snoda tra le varie difficoltà che Onit incontra lungo il suo percorso esistenziale fatto di imposizioni,dogmi e schemi che non lasciano spazio alla libertà individuale e dove tutto sembra essere predestinato. Un destino a cui Onit si sottrae con tenacia e temerarietà riuscendo a liberarsi dalla sua pesante zavorra interiore e volare in alto verso la libertà.
Un’altra peculiarità che attraversa le pagine di questo libro è l’amore che viene trattato nelle sue svariate forme,dal semplice sentimento che può nascere in età infantile al battito accelerato del cuore per un bacio rubato,dal soddisfacimento fisiologico all’amore sublime ed infine nel paragrafo “l’orto del peccato” l’autore arriva all’apoteosi dell’amore raccontandolo con parole che possono apparire audaci a chi non sa cogliere fra le righe che vuole essere soltanto un inno all’AMORE nella sua forma totale
IL DESTINO DI ONIT
Armando Colomba a Feb 21, 2022
La storia è ambientata su un pianeta immaginario, Aret, nella Costellazione di Andromeda, identico alla Terra. Ci racconta di piccole comunità con una economia autarchica fondata sull’agricoltura, immerse in un medioevo anacronistico. La collocazione, che richiama il mito, non è casuale poiché il “romanzo”, ci svela anche il complesso edipico di un figlio, Onit. Il nucleo della storia, ricco di personaggi, eventi, usi e costumi, descritti con lucido realismo e senza censure, a volte a tinte forti ed altre tenerissime, quasi fosse un saggio di antropologia culturale, ci racconta la metafora di una Italia nella quale fino a metà del secolo scorso esistevano ancora sacche profonde di povertà, di incultura , di arretratezza sociale e civile Ci mostra quale fosse la vita vera, con i suoi legami di affetto e violenza, in una società arcaica contadina smentendo la vulgata letteraria che la descrive e semplifica come l’emblema di una civiltà bucolica, felice, idilliaca. Techent, donna orgogliosa e fiera, rimasta fedele ai suoi miti, ai mantra della sua atavica morale, ha sempre legato a se il figlio con il suo amore possessivo e con la numinosa potenza dell’archetipo della “Grande Madre”. La sua morte perciò è stata per Onit un momento di dolore ma anche di separazione ed emancipazione che lo farà sentire finalmente un uomo libero e realizzato. Il libro è scritto con un linguaggio chiaro , scorrevole e sincero, con un lessico ricco e mai banale. E’ un piacere leggerlo.